venerdì 7 febbraio 2014


Un tempo le mode erano legge, non potevi elaborarle di una virgola.

E il messaggio che lanciavi era forte e chiaro, come gli stessi nomi che contraddistinguevano gli stili. Punk, bon ton, grunge.

Oggi puoi svegliarti una mattina, legarti un tovagliolo a quadri al bavero, un fiore secco alla cintura, e dire che vesti Colonial Chic.

Negli anni 80 c’erano i PANINARI. Forte e chiaro…

Non ti potevi inventare niente, avevi una gamma e marchi tra cui scegliere e diventavi un paninaro.

Jeans uniform, felpa della Best Company fantasia cachemire e maniche al gomito (utile), il Moncler nella prima fase poi nella fase decandence il bomber blu petrolio con interno arancio (qualcuno più border line lo sceglieva verde militare), timberland e calze a losanghe di lana anche in estate.

Le femmine portavano la mitica cartella di Naj Oleari, a cui abbinavano il cerchietto per capelli imbottito, che sembrava un aureola trapuntata. D’altronde la Frangia a ragno piena di lacca e la permanente stile Europe “Final Countdown” meritavano un decoro all’altezza (se non altro in cm, se no sarebbe sparito…)…

Io ero veramente piccola ai tempi dei veri paninari, le mie prime forme di fashion dictats furono quindi i ciclisti (pantaloncini sopra al ginocchio in jersey elastico nero lucidi), le all star alte, e la borsa della sport service (era una borsa da palestra molto basic e possibilmente viola o a losanghe viola e rosa, la mia era verde acqua e giallino, mi muovevo sempre in ritardo rispetto alle mode e arrivavo in negozio con disponibilità di sole rimanenze). Se non l’avevi già ti faceva venire la scoliosi, malattia scomparsa ai giorni nostri ma molto in voga all’epoca. Infatti la dovevi portare su UNA spalla a mò di fagotto per scappare di casa, sulla spalla destra con il braccio destro ripiegato indietro e la maniglia nella mano col dorso contro la spalla. Un male cane.

Pensare che ancora avevi il Jolly Pro Invicta ergo-schieno-anatomico nuovo di pacca ma così puerile…

nel momento in cui ho cominciato davvero a interessarmi ai vestiti siamo arrivati a connotati clowneschi.

Avevo uno stock di BODY cioè top con mutanda incorporata, coi bottoncini sotto e sempre inesorabilmente corto, quindi dolorosissimo. Varie nuances di rosa fino al corallo. Il bello era il sopra: 2 lembi incrociati e cuciti alla parte “mutanda” che formavano delle pinces sul davanti, da indossare rigorosamente con spallotte imbottite tenute in posizione dallo spallino del reggiseno (perché il velcro con cui nascevano dopo vari usi e lavaggi non attaccava più), e con foulard in seta stampata in colori pastello con FERMAFOULARD di finte perle (sembrava un portatovagliolo però era elastico).

Mi ricordo una sera entrate al LOLAS che una di noi perse uno spallotto, e la buttadentro della disco l’ha raccolta e tenendola con 2 dita l’ha alzata chiedendo “di chi è questa?!?!?”, in una trentina siamo scappate per paura fosse nostra… ingrigita dai lavaggi, schiacciata al centro dallo spallino, e col velcro impeluccato… faceva così schifo… Non ammetterò mai che era mia.

I jeans erano tassativamente levis 501 da uomo, o azzurro denim ma stone washed, oppure nero o blu sovrattinti, che costavano 20.000 lire in più.

Potevi prendere 2 taglie in meno e infilarteli dopo esserti imburrata le cosce, e vantarti di indossare la 26, oppure 3 taglie in più e arrotolari sul fascione su sé stessi usando come verricello la cintura (tassativamente el charro con fibbiona o nera in similpelle con un mega fiore stilizzato tipo nuvoletta come fibbia), e il cavallo dei jeans dall’interno di te si avvicinava pericolosamente al dentro dell’ombelico.

A volte li compravi al mercato a Bologna che sfoggiava stock di Levis di non so quale provenienza, costavano 2500 lire in meno ma faceva figo andare a Bologna possibilmente la mattina quando avevi la verifica di storia.

Le scarpe erano femminili eleganti e con tacco a rocchetto. Inguardabili.

D’altronde quelle più sportive mettevano le Kicker’s oppure le Palladium, devo ancora capire quali fanno più schifo.

Facevano capolino i primi Barbour, una giacca puzzolente in quanto incerata (avevi in dotazione anche la cera per ungerla, anche perché mano a mano che seccava si fessurava e crepava fino a rompersi) che nasceva per i pescatori (ed era meglio ci rimanesse) e ho volutamente saltato gli husky e i mongomery….

Il barbour aveva in dotazione un interno in pelo infeltrito MARRONE che si agganciava in pochi punti e male creando il caratteristico FOGNONE sotto, da far sembrare gobbi e deformi.

Corredavi il look con elementi scolastici, ovvero la borza zainetto floppa della mandarina duck blu o nera (le più sovversive osavano bordeaux o verde scuro), e questa era una plastica non plastica sottile che aveva la caratteristica di sciogliersi se vicina a fonti di calore, e smangiucchiarsi se sottoposta a stress per il carico dei libri (infatti dopo aver fatto spendere mezzo stipendio ai genitori in libri, li lasciavi a casa se no la mandarina si rovinava).

Qualche fake victim (fittima dei falsi, vittima perché il tarocco era malvisto, ma talvolta era una scelta obbligata da economia di scala domestica, ovvero che tua mamma ti spaccava una scala in testa se rompevi troppo i maroni) aveva la MANDARINCIA DRINK. Spero che qualcuno la ricordi, faceva troppo ridere.

Poi dovevi avere la Smemo, che già come agenda scolastica (diario!) è eccessiva perché dura 15 mesi, poi la riempivi di scritte, resoconti, foto, ritagli, carte di caramelle, ciocche di capelli e ogni tipo di feticcio immaginabile. Chi le ha tenute e le sfoglia riesce ad evocare reminescenze odorose tanto che sono intrise di noi…

Il bianchetto aveva il pennellino e spesso ci pocciavi le unghie, era predecessore della nail art, con la peculiarità che si sporcava di tutto ciò che gli rimaneva attaccato e in più sporcava tutto quello che toccavi di sé, infatti a contatto con l’unghia il bianchetto per la reciproca chimica, non si asciuga.

************************************************************************* 

Anche i nomi propri sono identificativi dell'era in cui vivi e soggetti alle mode. E anche le patatine, le chips. E i ciclomotori. Legati a moda e consuetudine. 

Quando ero piccola io se ti chiamavi Eurosia o Teobalda eri una sfigata vittima di rime e scherno a scuola e in cortile con gli amichetti. Oggi sei automaticamente figa.

Ci sono stuoli di Graziana, Giubilogemma, Fionamay tutto attaccato che guardano altezzose le povere Elisa, Giulia, Silvia.

Sono tornati anche i nomi da nonna, Maria, Emma, Ava, che un tempo non mettevi per paura che sembrasse commemorativo di una defunta di famiglia, adesso è trendy da morire.

I maschietti quando ero piccola io era vietato dalla buoncostume chiamarli con nomi esterofili, adesso ci sono moltissimi Louis, Mathias, Jamie…

 Beh e le patatine??? ai miei tempi erano chips tipo le Classiche o al massimo le POLENTINE. Negli anni 90 invece un trionfo di nuvole di farine di surrogato di mais più o meno dense (i fonzies erano i più densi fino alle pai d'oro più ariose). Oggi sono aromatizzate a lime e alchechengi, ben che vada all'aceto.

I ciclomotori di chi aveva 14 anni nel 90 erano uno status. Gli sfigati avevano un motobecane o semplicemente un vecchio ciao o un garelli che era già stato della mamma e del fratello maggiore, i fighetti il Peugeot verde bottiglia.

I border line avevano la testa rasata o i dreadlocks e il TUBOLARE smarmittato.

Adesso e passando per inizio 2000 con lo scarabeo che ci ha ripostati al classico, sei un figo se hai la vespa, ancora più figo se è originale restaurata.

 
A costo di ripetermi… adesso si sta bene, ma negli anni 90 facevi molto prima a vestirti… non dovevi inventarti niente e qualunque cosa ti mettessi non contava come ti stava, ma che marca era.

2 commenti:

  1. ciao cara, complimenti per il blog!!
    Mi piace un sacco come scrivi!
    Ti ho lasciato un piccolo premio. c'è un pochino da lavorare ma è comunque un modo per farsi conoscere! Passa da me se ti va!

    RispondiElimina